Tra oggi e domani leggiamo la seconda «arcata» del discorso della montagna, dedicata alla vita della persona religiosa.
Matteo presenta l’elemosina, la preghiera e il digiuno, che sono il riassunto delle opere del credente.
L’elemosina, la preghiera e il digiuno sono opere buone e belle, ma possono esprimere un desiderio di essere visti, di essere lodati, di essere considerati santi, buoni e religiosi da gli altri. Quelli che fanno così, sono chiamati «ipocriti». È una parola molto forte. Infatti, le realtà religiose possono essere corrotte dal peccato, dalla ipocrisia, dai desideri di riconoscenza, e così, non solo fanno male al peccatore e agli altri, ma anche esprimono una idea sbagliata di Dio stesso. La gente che vede questi uomini che credono di essere religiosi con questi atteggiamenti, non soltanto rifiuta loro, ma anche rifiuta il Dio che questi segni dovrebbero presentare. Capiscono che questo «dio» non ha niente da dirli.
È per questo che Gesù parla con tanta forza contro la corruzione dei segni e degli atteggiamenti religiosi.
Come contrasto, offre una visione diversa, profonda, dei segni religiosi: il tuo Padre, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Non è che noi viviamo religiosamente per cercare una ricompensa, lo facciamo come risposta di amore che ringrazia l’amore ricevuto prima.
Qui c’è la differenza tra essere visti dalla gente, in pubblico, e essere visti dal Padre, nel segreto. L’elemosina si fa in segreto per non sottolineare davanti agli altri che siamo buonissimi. Il digiuno si fa in segreto per rendere anche il nostro corpo consapevole del bisogno che abbiamo di Dio. La preghiera si fa in segreto perché si vive nel intimo dell’anima.
Non è che non dobbiamo annunciare il vangelo, e, quindi, essere visti come religiosi. Non è che ci nascondiamo. Quello che importa è l’atteggiamento interiore: quello che facciamo: Lo facciamo per avvicinarci a Dio, o per essere visti e lodati dalla gente? È una sfumatura non facile. Mostrare al mondo che siamo religiosi, e allo stesso tempo, mantenere l’umiltà. Vogliamo che la nostra testimonianza faccia alla gente lodare Dio, non lodare noi.